domenica 29 agosto 2021

Davanti a Noi


 Con gli occhi di un padre, con gli occhi di un figlio osserviamo la vita davanti a noi.

 Seduti mentre tutto intorno rallenta per cullarci, come in una favola.

L'azzurro della mia giovinezza, qui di fronte, sembra incresparsi un po', come a porgerci un saluto discreto per dare il benvenuto. 

Tanto, troppo il tempo passato lontano, spesso ad aggrapparsi al solo ricordo dei gabbiani in volo, o delle barche dei pescatori lanciate verso l'orizzonte.

Da questa panchina arrugginita mi stringo al piccolo uomo che cresce in fretta, e per un istante lo guardo e vedo me stesso ai tempi delle elementari, in una vita passata che quasi non sembra più reale.

Da questo angolino di terra e mare,  racconto al bimbo dei giorni cari delle recite a scuola, della pizza con la comitiva il sabato sera, dei giri in motorino con l'amico di turno e degli amori struggenti dell'adolescenza, quando tutto scorreva senza troppi pensieri. 

Lui mi ascolta, mi domanda, mi sorride, mi domanda ancora,  mentre l'abbraccio si fa più forte.

Questo luogo piccino che mi ha formato, donato occhi e cuore, e che lui adesso comprende, sarà per sempre il nostro rifugio. Ci chiamerà senza fine, quando ne saremo lontani, e noi sapremo rispondere.


Il sole siciliano illumina ancora più forte la nostra panchina, ravvivando i colori di ogni cosa con una magia antica. Noi continuiamo a guardare e meravigliarci, ancora per un po', della vita che si muove lì davanti a noi.

Poi, con tanti pensieri, progetti, ed un briciolo di malinconia andiamo via.

domenica 18 ottobre 2020


 Ho portato Luca in Italia, per la prima volta, quando aveva solo 3 mesi. Era un bimbo così piccolo, che faceva sembrare le onde del mare di Milazzo ancora più maestose.

Da allora, siamo tornati in Sicilia ogni estate, ed ogni volta mio figlio ha scoperto nuove meraviglie, esplorato i mille luoghi della mia giovinezza, imparato in fretta l’italiano per parlare con gli amatissimi nonni. 

L’Italia é sempre stata per lui un grande motivo d’orgoglio, una parte profonda del suo essere. Mi domanda spesso dei nostri antenati, dei loro piccoli e grandi aneddoti, delle mie monellerie da bimbo e spensierate peripezie da ragazzo, in una Milazzo d’altri tempi.

Luca é nato in America, ma come dice sempre lui  “La nostra famiglia sará sempre italiana”

Adesso mio figlio ha 10 anni, lo ascolto mentre fa progetti per il suo futuro e mi si apre il cuore. “Papà-mi confida- quando sarò grande avrò un lavoro che posso fare online, tornerò a vivere qui in Sicilia, restaurerò la nostra vecchia 500 ed anche la casa dei nonni. Penso che, magari, sposerò una ragazza italiana. La mia vita sará qui, perché tutto é troppo bello e vivace. Il pane e la pizza, poi,  li fanno proprio bene e la frutta qui ha il sapore vero. Papà -dice gesticolando con le sue manine- tu lo sai che i Talotta devono tornare in Italia!"

Lo guardo crescere ogni giorno e scopro sempre più il suo animo buono, il grande attaccamento alle radici di famiglia, i tanti talenti, la sua sensibilità così incredibilmente speciale, sentendomi fortunato che lui abbia assorbito i valori a me più cari, quelli che nella vita contano davvero. Per un padre, vedere il figlio cogliere così a fondo ogni insegnamento, trovarlo a guardare il mondo con i tuoi stessi occhi e' la gioia più immensa. Lo sento sempre vicino a me e lui mi cerca e segue in ognuna delle mie pazze avventure.


Ed eccoci qui, di nuovo nella nostra spiaggia, ad ammirare i gabbiani e discutere di mille idee e progetti. Un attimo felice e speciale, come mille altri trascorsi insieme.

Chissà, forse un giorno ci porterà i suoi figli a contemplare questo spettacolo mai uguale.  Sono sicuro che, tra le altre cose, gli racconterà un po’ del suo papà.

domenica 20 settembre 2020

Sin dal mio trasferimento negli Stati Uniti, avvenuto 15 anni fa, avevo sempre vissuto il ritorno in Italia con gli occhi da vacanziere. Per tutto questo tempo, durante le mie estati a Milazzo, avevo avuto l'impressione che l'esperienza nella mia cittadina d'origine, sebbene molto felice, avesse un qualcosa di superficiale.
Mi trovavo qui solo per un breve periodo e sempre nella stessa stagione.
Molto spesso, mi sono chiesto come sarebbe stata la mia vita quotidiana in tempi normali, lontana dalla routine di spiaggia, ombrelloni ed il viavai di turisti. Avevo un disperato bisogno di sentirmi integrato, di capire se fossi ancora capace di vivere qui da milazzese e non da ospite.
Quest anno, finalmente, ho avuto l'occasione unica di trascorrere più di tre mesi in Italia, durante i quali ho avuto un’importante conferma.

Dopo la fine di Agosto, quando la maggior parte di turisti e vacanzieri hanno ripreso le loro vite normalmente, io ero ancora qui ad osservare la spiaggia vuota mentre lavoravo ad un computer. I miei figli si son goduti le loro prime bici e canne da pesca italiane, gettandosi nelle mille avventure di questi mesi, poi anche loro hanno iniziato la scuola virtuale a distanza. La Sicilia é divenuta ben presto casa nostra, non più una meta di villeggiatura.
Dopo tanti anni, sono riuscito a seguire attivamente i miei genitori nelle loro imprese quotidiane, scoprendone dettagli e particolari di cui ero stato sempre curioso.
Ho camminato per le strade del quartiere dove sono nato e cresciuto, avendo il tempo di notare i tanti cambiamenti, ma compiacendomi delle cose che sono rimaste immutate. Ho girato ed esplorato quotidianamente la mia Milazzo, cercando di rivivere emozioni mai dimenticate. Ho preso tutte le scorciatoie che usavo da ragazzo, incontrando molte persone che si ricordano ancora di me. Mi sono anche ritrovato a sorridere nel guardare i ragazzini che tornavano dalla stessa scuola che ho frequentato io stesso qualche decennio fa.
Un pomeriggio, in particolare, mi son seduto sugli scogli della Croce di Mare ed il rumore delle acque ed il senso di pace mi hanno riportato indietro alla mia giovinezza, quando spesso scappavo dai compiti per parlare con il mare.
Ho poi osservato i movimenti in paese durante il periodo delle votazioni, ho conosciuto nuovi amici, portato i miei bimbi in bici sul lungomare e poi a pescare in spiaggia di notte, avendo sempre la profonda ed importante sensazione di venire riassorbito da questi luoghi, così infinitamente pieni di ricordi.
Ed ho scoperto, contrariamente ad i miei timori, che sono sempre il Marco di una volta. Nulla é davvero cambiato.

Ho finalmente compreso che la mia vita non é mai stata davvero stravolta dalla lontananza geografica dal mio luogo d'origine. La mia sensibilità, il mio modo personale di vedere e sentire le cose viene proprio da qui, da questa cittadina sul mare alla quale vengo richiamato sempre quando ne sono lontano. Alcuni non capiranno, ma non importa. In fondo, questa è la mia storia.
Tra pochi giorni tornerò in America, in quel mondo così diverso, ma questa volta non ci sarà tristezza sul mio viso. Solo la gioia di chi ha ritrovato sė stesso.

martedì 25 agosto 2020

Dietro un Cancello Arrugginito

 

Alla fine del lungomare, passeggiando, spesso mi fermo ad ammirare una spiaggetta alla quale nessuno sembra prestare attenzione. 

Dietro un alto cancello arrugginito la trovo sempre lì, come fosse un angolo di mondo dimenticato, che quasi vuol nascondersi.

Di rado, vi trovo qualcuno seduto a guardare l'azzurro lì davanti, e mi chiedo a cosa 

pensi, che cosa provi.

Quella piccola spiaggia, invisibile a molti, e' forse un'oasi nel caos, un rifugio discreto dal mondo frenetico che la circonda.

C'e' pace laggiù dall'altro lato, penso mentre mi sporgo per osservarla meglio. 

Un aliscafo di passaggio adesso fa alzare le onde, che si scagliano sui frangiflutti e donano a quel panorama una dimensione tutta nuova.

A volte mi trovo a fantasticare, immaginando di essere un naufrago e di approdare su quella battigia. Senza dir niente a nessuno rimarrei lì ad assorbire la solitudine, senza preoccuparmi di niente per un po'. Aspetterei la notte per riposare le mie ossa stanche, dopo il tanto navigare. 

Non sarebbe poi così male, mi dico sorridendo.

 

Poi, ancora perso nei miei pensieri riprendo sempre il cammino, promettendomi di ritornar presto a guardare oltre quel cancello.

 

sabato 6 maggio 2017

La Mia Voce




Chiedevo sempre di avere un foglio bianco. Ero piccolo, ed ogni giorno sentivo il bisogno di disegnare, dovevo sfogare un istinto che veniva da dentro e voleva prendere vita. Spesso sedevo nel balcone di mia nonna, che dava sul porto, e lasciavo libera la matita sulla carta, mentre mi scorreva davanti lo spettacolo mai uguale delle auto in strada e le navi nell'azzurro. Sentivo il megafono dell'agenzia di sotto annunciare le partenze degli aliscafi per le isole, immaginandomi avventure meravigliose in quelle terre in mezzo al mare.  E centinaia e centinaia di fogli bianchi si animavano al tratto della mia matita, riempiti da storie, paesaggi, persone o creature. Coloravo quelle scene, e lo ricordo come fosse ieri,  con i pastelli che mia nonna teneva nella scatola di latta azzurra dei biscotti.
Poi, ben presto, cominciai a sentire  il richiamo della poesia. Cercavo di stare da solo per immergermi nel profondo di quei versi, così mi capitava di pedalare fino alla fine del molo per fermarmi lí, in quei pomeriggi sospesi, nutrendomi delle parole e suoni ben studiati di un'antologia. Mi accompagnava il suono delle navi che attraccavano e dei gabbiani che, dal cielo, scendevano per avvicinarsi a questo piccolo frammento di mondo.
 Il passaggio alla scrittura risultò necessario e mi aiutò ad acquisire una voce che non sapevo neanche di possedere. Era, e lo é anche adesso che scrivo queste righe, l'espressione semplice ed un pó ingenua di un'anima felice, circondata dall' infinita e libera bellezza di Milazzo, mio paese d'infanzia e giovinezza. Era la voce delle serate a passeggiare nella Marina, dei salti tra gli scogli, delle corse alla Panoramica in motorino, dei pranzi a mare sotto un ombrellone, delle barche che riposano stanche sulla spiaggetta di Vaccarella. É il fragore delle onde arrabbiate negli inverni al Tono ed il silenzio di un pomeriggio solitario alla Croce di Mare. 
E quando parlo, so di essere ancora quel bimbo seduto a disegnare nel balcone di fronte al porto, in quell'angolino di Sicilia che mi ha dato un'anima ed un cuore.


martedì 21 aprile 2015

La Canzone Dimenticata


Siamo tutti chiusi dentro scatole asettiche di vetro e cemento, aggrappàti ad un orologio ci spostiamo lontani dal ritmo del cuore. Poi, fuori, scivoliamo storditi sui binari sistemati lí per noi. E non sappiamo davvero dove stiamo andando, ma ci dicono che dobbiamo. Dobbiamo seguire per vivere, stare su quella linea per essere accettati.  E gravitiamo lontano dal richiamo vero che e' in noi, senza poter ascoltare quella voce dentro . A nessuno importa veramente della nostra anima. La gente ignora che sia quella la nostra eterna giovinezza, o non ci bada. Solo i bambini, solo i ragazzini innamorati sembrano capirlo, ma poi devono crescere e lo dimenticano. A volte per sempre.
 Ma ho visto un vecchio, anni fa, seduto dentro un'aiuola del parco che sorrideva al sole, si beava delle carezze di ogni filo d'erba sul viso. Non aveva bisogno di una panchina perche' la terra e' piu morbida, piu' vera, piu' calda, diceva. Era come un bimbo che non si preoccupava di cosa pensare, di come apparire. Quel vecchio, immaginai tra me, non sarebbe morto mai davvero. Siamo noi quelli che se ne sono gia' andati, che hanno smesso di provare. Abbiamo messo su enormi citta' su citta', fabbriche, torri, grattacieli che nascondono il cielo, siamo governati da una tecnologia cosi' facile e veloce che non ci lascia fermare a pensare. Dovra' pur esserci un rimedio, una via diversa, qualcosa che suoni piu' come una canzone che come un comando gridato.

D'estate mi adagio spesso nel fondo del mare per sentirmi sospeso, in quei brevi istanti di verita', senza che nulla possa schiacciarmi. Non son piú schiavo delle regole, convenzioni, della razionalita' esasperata.  Tra le acque fresche ed immutate nei secoli, sono libero come nessun altro. Sono di nuovo un bambino. 

domenica 12 aprile 2015


Quando sono nato con il cordone ombelicale stretto intorno al collo, i dottori hanno detto che non ce l'avrei fatta.
A 20 anni sono stato coinvolto in un grave incidente stradale. Alcuni in paese credettero che fossi morto, o che non sarei sopravvissuto.
A 30 anni il casco mi ha salvato la vita da un altro incidente.
Adesso che di anni ne ho quasi 40, un tumore al rene ha provato di nuovo a finirmi.
Ma la luce che ho dentro e' piu' forte del vuoto che mi insegue.
Quel buio e' freddo ma mi rende forte. Non ne ho paura.
Ogni cosa dentro di me trasuda vita e non ho tempo di rallentare.
Sono un sopravvissuto, un guerriero, cammino ancora a testa alta per imparare ed amare tutto quello che incontro nel cammino.


When I was born with the umbilical cord already strangling my neck, doctors said that I wasn't going to make it.
I was 20 and I was involved in a horrific motorcycle accident. Some people in my town assumed I was dead or that I wasn't going to survive.
I was 30 and my helmet saved me from another certain fatality.
Now that I'm almost 40, a tumor in my kidney had tried to finish me again.
But the light in me is brighter than the void that keeps chasing me.
That darkness feels cold but makes me stronger. I'm not afraid of it.
Everything in me screams life and there's no time to slow it down. 
I'm a survivor, a warrior, still walking strongly to learn and love everything on my path. 



lunedì 8 dicembre 2014

Il Risveglio


Sdraiato nella penombra di quel letto d'ospedale, in un mondo che non era mai stato cosi' lontano dalla mia terra, provavo nel corpo la stretta impietosa della solitudine. Era passata solo qualche ora da quando il chirurgo aveva rimosso quel cancro subdolo che voleva divorarmi. Trascorsi solamente una manciata di minuti sentendomi smarrito, debole, violato. Poi successe tutto in un attimo, naturalmente, nella calma desolante di quella stanza asettica. Vidi l'immagine futura di me stesso, in un tempo dove la sofferenza di questi miei giorni sembrava non essere neanche un ricordo.  Ero un anziano felice dal viso abbronzato, avvolto in un cappotto logoro ma elegante. Seduto su di una panchina di fronte agli scogli, alle onde, alle barchette che si allontanavano, il vecchio Marco ancora sorrideva.  L'infermiera, intanto, mi passo' accanto con una fiala ed una siringa per aiutarmi a lenire i dolori, ma io tenni gli occhi chiusi e quasi non me ne accorsi. Contemplavo ancora  l'immagine di un uomo dipinto in mezzo a quel cielo dall'azzurro pungente, sotto il sole siciliano. Ero davvero io, e davanti al mio mare che tornava a parlarmi, a riempire l'anima di ogni ricchezza. Fu allora che compresi, a cuor leggero, che ogni cosa si sarebbe risolta, che non c'era alcun motivo di rattristarsi. Non era certo la mia prima permanenza tra le mura di un ospedale, costretto ad aggrapparmi alla vita con le unghia. Ancora una volta, quella voce dentro di me aveva chiarito che non c'era tempo per la debolezza, per la depressione, o l'autocommiserazione. Che niente o nessuno mi avrebbe fatto cadere in ginocchio, o sarebbe riuscito a confinarmi nel buio di un angolo.

 Il giorno dopo l'operazione mi ritrovai gia' in piedi, dolorante, ma determinato a tornare a casa. Avevo appena smesso di sanguinare. E da li' ricomincio' tutto, anche se dapprima con difficolta' e limitazioni. Tornai alla mia famiglia e a quei due bimbi splendidi, che non dovevano trascorrere nemmeno un'ora in piu' senza il loro papa'. "Tumore al rene" lo chiamarono i dottori, ma per me era solo una scalinata ripida seguendo la strada giusta. Quella che mi avrebbe portato un giorno verso la panchina di fronte al mare.


giovedì 16 maggio 2013

Pomeriggio Invisibile (Foto delle Panchine by Marco Muscianisi)



Era ora di pranzo. Nessun rumore per le strade, i negozi e le botteghe avevano chiuso già da un pò. Il vento faceva danzare sul marciapiede i volantini di qualche giorno fa, mentre un cane randagio si adagiava all'ombra di un muro, per sfuggire la calura. Nella spiaggetta sul lungomare una cassetta della frutta, naufraga da chissà quale avventura, si faceva trascinare dalle onde fino a graffiare la battigia. Era triste pensare che nessuno le prestasse attenzione, che quella piccola carcassa di legno quasi non esistesse più.
Nella campagna non lontana, il sole siciliano batteva forte sulle rocce e tutto il resto. L'odore degli ulivi ed il canto dei grilli pungevano l'aria in una sinfonia  singolare.
Nulla era mai davvero cambiato, in quei luoghi a me cari. E niente, nell'istante di un pomeriggio qualunque, sembrava fuori posto.
Forse era quello l'attimo vero della giornata, pensai, l'angolo sincero di vita della nostra terra. Lontano dal fracasso di macchine e macchinari, da chiacchiere e stramazzi, monete e mercati. Il vero stava in quel cielo che si arrossava e nei colombi che si posavano sulle panchine vuote del lungomare.
Ed io mi tenevo a distanza, come nascosto, per assorbire quel significato e gioirne, anche solo per poco.
Poi i pescatori  tornarono in mare e le auto cominciarono a riempire il porto, aspettando i traghetti per quelle isole che, da qui, sembrano piccole illusioni all'orizzonte.
Iniziava un'altra sera nel mio paese d'infanzia, terra di ogni mio desiderio, culla e madre di ogni ricordo, e così mi mescolai tra la gente fin quasi a svanire.  

mercoledì 1 maggio 2013

I Fiori del cimitero


Strappàti dal mondo dei colori, per riempire vasi e tombe, sono i fiori e le persone del cimitero.  Cadono i petali come cadono gli uomini, sbattuti dal vento tra i cipressi messi in fila, davanti all'entrata. In un pomeriggio immobile di primavera, una famiglia vestita per bene ne lascia un mazzo fresco davanti al sepolcro, gettando nell'immondizia quelli appassiti. Il nuovo ha rimpiazzato il vecchio, ancora per una volta e senza alcuna alternativa. Un bimbo di neanche un anno saluta con la manina il nonno mai incontrato. Ma non c'e' nessuno, davvero, li' sotto la terra. Il cimitero  -lucida verita'-  e' vuoto e senza anima. Solo gli insetti brulicano nelle loro attivita' notturne, escono dalle fessure e si fanno strada sul gelido marmo. Larve si muovono nell'acqua stantia delle urne, nel buio pesto di una notte senza luna. Non e' rimasto nessuno da omaggiare, riverire o con cui parlare. Son tutti via a continuare quel viaggio che noi neanche comprendiamo. I fiori appassiranno presto, i ceri si consumeranno. Rimarranno le foto e le scritte sui loculi tutti uguali. Ogni mattina arriva il custode e riapre quei cancelli alti e pesanti, che la ruggine fa suonare come un timido lamento. Giornate di pioggia, di vento, di tuoni. A volte non arriva nessuno.  Crisantemi morti ed anneriti dal tempo, sparsi sul sentiero. Qualcuno, per far ordine, li getterà via.

A volte mi avventuro tra quegli echi di passato, per sentir nell'animo il brivido dell'antico, assorbire quei volti svaniti dalla memoria dei viventi. E sulle tombe più vecchie, annientate dagli anni e le intemperie, mi soffermo a lungo a contemplare. Un giorno, in questa realtà terrena,  quando il mio corpo sarà materia e nient'altro, quando tra la gente nessuno conoscerà  il mio nome, io non sarò davvero mai esistito. Pongo un piccolo fiore sull' immagine di una donna mai incontrata, preziosa come tutte le cose scomparse, poi vado via .   

mercoledì 6 marzo 2013

L'Isola di Milazzo




Dopo un violento terremoto, in un giorno caldo d'estate, la penisola di Milazzo si staccò dalle altre terre. Successe tutto in un istante, mentre i politici dibattevano animatamente tra loro  e giovani e vecchi protestavano in piazza. Non ci fu davvero nessun danno, ma la gente dimenticò quel che stava facendo e si precipitò a guardare dai bordi della costa. Il paese adesso scivolava,  dolcemente, su quelle acque  di un turchino meraviglioso. Come in un sogno inaspettato, tutti si sporgevano per ammirare quel prodigio. Adesso Milazzo era un'isoletta senza ancora, in preda ai mari e alla natura dei venti. Nessuno voleva o sapeva come fermarla. Alcuni intravidero ben presto i litorali del centro Italia, poi fu la volta di quelli del nord. Da lì ogni esule milazzese, non credendo ai suoi occhi, saltava su quella striscia di terra, abbandonando i luoghi che lo avevano adottato. Francia e Spagna furono le tappe successive, mentre intere famiglie tendevano le mani ai loro cari, che adesso tornavano a casa con un solo balzo. Il viaggio di Milazzo continuò senza sosta, mentre i bambini ammiravano stupiti gli elefanti e le giraffe dell' Africa. Era la più strabiliante ed incredibile di tutte le avventure, un alternarsi fiabesco di caldo e freddo,  pioggia e ciel sereno. La gente sorrideva e si abbracciava, erano di nuovo tutti insieme. Quando l'isoletta si trovò in mare aperto, alla volta delle Americhe, i vecchi pescatori cominciarono a gettare le reti in mare, meravigliandosi nel vedere pesci dalle forme e dai colori sconosciuti. Quella sera, i milazzesi disposero centinaia e centinaia di tavoli sul lungomare. Si sedettero tutti insieme in una tavolata di cui non si vedeva la fine, mangiando i frutti di quelle acque ed osservando la schiuma bianca delle onde, che pareva quasi burro per le loro pagnotte. I contadini portarono frutta, verdure per l'insalata ed un vino delizioso, mentre i pasticceri offrirono cannoli e cassatine a volontà. C'era anche chi arrostiva la carne dei suoi vitelli e spandeva nell'aria un odore delizioso. Poi, alla fine della cena, il sindaco ed il prete chiamarono all'appello i cittadini che erano appena ritornati in patria, incitandoli a raccontare le loro storie. Uomini, donne e bambini ascoltavano affascinati la grande emozione di quelle voci e applaudivano commossamente. Era stata una giornata storica, surreale, da riempire il cuore e dare un senso a tutte le cose, finalmente. Lasciarono tutti  il banchetto e si diressero sereni verso le loro case. Qualcuno dormì sulla spiaggia, altri non chiusero occhio per l'eccitazione, non volendo perdersi neanche un secondo di quella traversata. Nelle prime ore del mattino, l'America si stagliava imponente all'orizzonte. I primi a vederla furono dei ragazzini,  appostati sulle torri dell'antico castello. Fu allora che sentii chiamare il mio nome, a squarciagola, da migliaia di voci. Le campane di ogni chiesa di Milazzo suonavano a festa, la banda picchiava sui tamburi a più non posso, ed alla musica si univa il clacson di auto e motorini. Erano venuti a prendermi. Afferrai  il bambino tra le braccia e chiamai mia moglie, che stava per andare al lavoro. Le dissi di correre, di non prendere niente con sé e di lasciar le valigie. Su quella striscia di terra, adesso sempre più vicina, c'era tutto quello che potevamo desiderare. Durò solo un attimo, ma quello fu il salto più bello di tutta la mia vita, anche se avevo gli occhi pieni di lacrime e non vidi un granchè. Sospeso tra quei due mondi ora così vicini, sentii l'anima risvegliarsi da un sonno durato anni. 
Ci presero al volo le braccia di mio fratello, mio padre, mia madre e tutti gli amici, con il sorriso radioso di chi non poteva ancora crederci. Mio figlio vide subito dei piccolini giocare in piazza, e si unì a loro parlando italiano. Tutte le cose avevano un senso, adesso, un'armonia. Avevamo trovato la pace, quando forse eravamo pronti ad abbandonare ogni speranza. Le campane non smettevano di suonare, la gente si abbracciava e si stringeva le mani. C'era un gran vociare ed un immenso entusiasmo, come era giusto che fosse. Milazzo non aveva bisogno di niente altro che dei suoi abitanti, delle grosse arance succose, le campagne, l'olio d'oliva, gli animali ed il mare a fare da contorno. Erano arrivati i tempi che ognuno di noi aveva atteso, spesso con dolore ed incertezza. Era un nuovo inizio e niente avrebbe potuto cambiarlo. Milazzo si mosse ancora per qualche settimana, riprendendosi ad uno ad uno coloro che se ne erano dovuti allontanare, poi la sua rotta cambiò per tornare in Sicilia. E si fermò quasi a toccarla, tra le Isole Eolie ed il Golfo di Patti. Rimanemmo tutti lì, cullati dal Mar Tirreno e scaldati dal clima al quale eravamo familiari. Imparammo la lezione e fummo grati alla natura per averci dato un'altra occasione. A metà 2013, eravamo i cittadini orgogliosi dell'isola di Milazzo. La gente di tutto il mondo ne parlò come se fosse una leggenda, ed i turisti fecero a gara per vedere se tutto questo fosse vero. Alcuni lo intuivano, pochissimi ne conoscevano il segreto e preferivano tacere.

Era soltanto il sogno di un emigrato siciliano in terra straniera, messo su carta in una notte di grande nostalgia. Ma non si rovina la poesia, non si distrugge un quadro, non si calpesta un fiore nell'arido deserto. Se può dare speranza o sollievo, meglio lasciar fluttuare nell'aria la sua essenza. Per chiunque voglia coglierla. 

martedì 25 dicembre 2012

Giorni


Mio padre era ancora un ragazzo e lo guardavo mentre, sporgendosi da quella scala di legno consumato, stendeva la carta da parati sulle pareti del corridoio. Erano giorni di vita nuova, con due bimbi che cominciavano giá le elementari e tanta aria di ottimismo. La giovane famiglia cresceva e cambiava, e così la casa ed ogni cosa al suo interno. Lui passava la colla sul muro ascoltando la radio locale, che mescolava Ramazzotti ad Elton John. Erano gli anni '80 dei mangianastri, delle foto con la Polaroid, lo zainetto Invicta ed i paninari, lo Swatch come orologio ed i primi video musicali su MTV. Il mondo era più ingenuo e tutto sembrava semplice e meno pericoloso.
Mia madre aveva cominciato a portare i capelli corti, mentre io mi ero abituato al  primo paio di occhiali da vista, con le stanghette arrotondate alla fine per non scivolare dalle orecchie.  Ricordo  ancora le visite dall'oculista, quando il dottore mi chiedeva se il canarino era dentro o fuori dalla gabbia, o se il pesciolino rosso era nella sua boccetta. Poi, puntualmente, alla fine  chiamava l'infermiera per mettermi un collirio dall'odore forte e sgradevole, che mi appannava la vista per una buona mezz'ora, turbandomi non poco.
E in una mattina in cui non capii bene cosa stesse accadendo, mamma mi accompagnò nell'aula del mio primo giorno di scuola. Mi sedetti in quel banco e trovai tutti gli altri bimbi giá lí, mentre lei mi aveva salutato, abbracciato e forse pianto, ed era ormai uscita ed andata via. Mi sentii solo e diverso, ebbi davvero paura ed al tempo non compresi che quella cartella blu, quei quadernetti e le matite colorate, l'odore della foderina di plastica sul libro, erano l'inizio vero della mia crescita.
 Memoria vivida dei sabati  in giro con mia madre, che in quel giorno non lavorava e mi teneva con sè, lontano dalle mura di scuola. Andavamo spesso in una spiaggetta e osservavamo le onde sbattere sugli scogli, o le navi, le barche e gli aliscafi passarci davanti in quel sogno colorato d'azzurro.
Nei pomeriggi di primavera, quando tutto cominciava a scaldarsi, pedalavo sul lungomare con mio fratello e ci fermavamo solo per comprare le gazzose al chioschetto. Papá e mamma ci salutavano e controllavano dalla loro panchina, seduti a parlare con amici e parenti. Alla nostra etá, in quella cittadina tranquilla della Sicilia, sembrava che ogni persona del mondo fosse felice, che tutto fosse in armonia.
Le nostre lunghe estati, attese cosí a lungo col cuore in mano, le trascorrevamo in viaggio con gli zii e le cugine, come fossimo una sola ed inseparabile famiglia. C’eravamo incontrati a pranzo ogni domenica dell'anno a casa della nonna, e finalmente adesso potevamo avventurarci tra autostrade, tende, roulotte e campeggi. Notti  in mezzo alla foresta col rumore dei grilli e l'odore dei pini, per risvegliarci la mattina con un bicchiere di latte ed una brioscia comprati nel piccolo spaccio locale. Poi tutti insieme ci si vestiva e  si andava a visitare la cittá, oppure restavamo in costume da bagno per divertirci in piscina o alla sala giochi,  incontrare i nuovi amici del posto ed esplorare ancor di piú quel microcosmo,  cosí speciale e diverso dal resto del mondo.

 Non credo che ci saranno mai giorni come quelli, davvero. Intendo che nulla potrá sfiorare la bellezza dolce ed imperfetta di ogni momento vissuto in quegli anni, cosí intensamente. Erano attimi di vita pura, onesta, libera e sincera. Ed oggi, adesso che scrivo da oltre il grande oceano,   lontano nel tempo e nello spazio, sono i ricordi piú cari nel cuore di un adulto.

lunedì 29 ottobre 2012

Successe Davvero (storia dedicata a mia madre)


 Acqua. Papá fissava l'acqua bollire nella pentola con sguardo assente. Da qualche giorno, pareva avesse gli occhi umidi e spenti di un pesce. E come un pesce era muto e non parlava quasi piú con noi o con nessun altro. Carezzai la  mia sorellina e tentai di rassicurarla, le dissi che tutto sarebbe tornato come prima. Adesso lui si era alzato per sedersi davanti a quella finestra che dava sul mare. Sembrava molto tormentato, mentre scrutava qualcosa che noi bambine non potevamo vedere. Presto papá cominció a passare ore ed ore nella doccia. Occhi e bocca aperti, mentre il getto d'acqua  fredda sembrava dargli finalmente la pace che cercava. Mamma non riusciva a capirlo e si era giá arresa, cosí spesso piangeva chiusa in camera per non farsi vedere. Papá tentava di giocare con me, ma non ci riusciva davvero. Qualcosa gli faceva troppo male e lo stava cambiando, era evidente. Credevo ormai di vedere delle piccole squame crescergli su per il collo, che lui si grattava nervosamente. Una sera di pioggia, mentre finivo i compiti di scuola, vidi papá aprire la porta e camminare verso la spiaggia. Con grande ansia decisi di seguirlo. Quella sarebbe stata la mia ultima volta con lui, ma a quel tempo non potevo immaginarlo. Ero dietro , infreddolita e senza scarpe, lui non notó subito la mia presenza. Il mare a quell'ora era una distesa infinita e tutta nera, appena increspata dall'acqua che continuava a cadere dal cielo. Stavo quasi per raggiungerlo, per prendergli la mano,  quando qualcosa ruppe quel silenzio cosí irreale. Vidi dei delfini che si avvicinavano alla riva, lentamente e con grazia naturale. Cantavano qualcosa che parve un richiamo. Non poteva essere vero, mi ripetevo mentre il cuore cominciava a  battermi ancora piú forte nel petto. Papá, in un attimo che ho ancora impresso nella memoria,   si giró verso di me per regalarmi quello che cercava di essere un sorriso. Il sorriso che avrebbe voluto rivolgermi durante i nostri ultimi giochi insieme. Poi il suo volto si fece  immensamente triste, quando tornó a guardare quelle acque cosí  fredde e  scure. Si liberó dei vestiti ed il suo corpo diventó tutto grigio, la sua pelle lucida e completamente squamosa. Quando gambe e braccia toccarono l'acqua,  sembrarono cambiare in pinne ed una coda.  Nessuno ci crederá mai. Cosí, senza preavviso,  papá sparí per sempre nell'abisso, ed  un silenzio ancora piú profondo si impadroní di quella spiaggia e di tutte le cose del mondo. 

Neanche un giorno dopo la sua scomparsa, sentii qualcuno dire la bugia piú grande e meschina. Raccontarono che mio padre si era ucciso, che il suo corpo fu trovato al largo da alcuni pescatori.

Passarono anni, decenni, e mia madre e mia sorella se ne fecero una ragione, ma non io. Io sono l'unica a sapere. Quello che il mare aveva restituito era soltanto il guscio della sua vita passata. Papá é libero e sta bene. Tempo fa il mio figlio maggiore, nonostante lui abbia solo una foto scolorita di quel parente mai conosciuto,  mi ha rivelato di sentire spesso la presenza del nonno, che veglia sulla nostra famiglia dalle acque. Mi ha detto che non  sono una donna debole ed  illusa, come converrebbe credere. Sono solo una bimba che ha voluto conservare la sua innocenza in una notte di tempesta.  E adesso che comincio ad invecchiare ne ho la certezza.

A volte, di notte, guardo fuori dalla finestra verso la spiaggia per salutarti, per farti sorridere ancora per una volta prima di andare. Papá che non mi hai mai abbandonato.


lunedì 10 settembre 2012

lunedì 16 luglio 2012

Quella Bottega


C'era una piccola bottega, a pochi passi dalla casa della mia giovinezza, e la trovo ancora oggi ad accogliermi come un navigante sperduto. É un negozietto familiare, di quelli di una volta, che adesso trema davanti ai nuovi colossi della concorrenza. La signora, invecchiata appena un pò, é seduta accanto al banco frigorifero per cercarne frescura, ed i suoi occhi pensierosi si accendono solo quando mi vede. Sono l'unico cliente, ma per me lei ha un sorriso onesto e bellissimo. Mi abbraccia, chiamandomi per nome, e dice che non sono nè piú magro nè piú grasso di prima. Lei mi vede sempre uguale, come quando indossavo il grembiule e facevo la fila col fratellino, tutte le mattine prima di scuola. Prendevamo uno dei suoi panini al burro con la mortadella, cosí oggi le chiedo la stessa cosa. Noto che il bancone dei salumi e la cassa sono gli stessi di trenta anni fa, ma l'aspetto generale é molto piú spoglio.  Assaggio il panino ed il sapore é esattamente lo stesso di sempre, di una bontá e freschezza impossibile da raccontare. La signora si muove tra le casse di pomodori grossi e dolci, raccolti nella sua campagna. Osservo provole, formaggi  e salami mentre lei  parla, mentre mi racconta dei nipotini e di ogni cosa positiva del suo piccolo mondo. La forza della sua semplicitá m'incanta, mi scuote come fossi ancora un bambino che non ha imparato molto. Vorrei dirle che grazie a lei oggi mi sento piú vivo, ma la saluto soltanto e le prometto che passeró ancora, prima della fine della mia vacanza. Torno verso casa dei miei genitori, seguendo quel marciapiede cosí familiare, e mi rendo conto che le cose vere, quelle che ti fanno battere il cuore, che ti rimangono dentro, sono le piú piccole. E che quelle, anche se tutto attorno sembra crollare, non cambiano mai.

mercoledì 20 giugno 2012

Un Altro Inverno



Orribile scoperta. La donna se ne accorse troppo tardi. Quel freddo sabato mattina, facendo colazione, si accorse che tutta la vita era passata. Che si era seduta sempre nello stesso posto in cucina, mangiando ogni volta gli stessi cereali, ascoltando distrattamente quella vecchia radio e fissando la sua ombra su quel muro che la opprimeva. Con terrore, si rese conto che non aveva mai capito nulla davvero e che presto se ne sarebbe andata chissá dove, ingoiata da quel vuoto che sentiva sempre piú vicino. Si avvolse ancor di piú nella sua vestaglia sbiadita e barcolló verso la camera da letto, mentre una mosca affogava nel suo latte, dibattendosi disperatamente.  Lí, incontró lo scheletro. Era seduto sul letto e sorseggiava qualcosa in una tazza sudicia. Il liquido appiccicoso scivolava giú dalla mascella, fino a bagnargli i femori e corrodere le lenzuola, che adesso fumavano. Era una curiosa nuvoletta verdastra che saliva fino al tetto, annerendolo. La donna rimase a guardare, tossendo. Era felice di non esser piú sola. Lo scheletro non disse niente, non le spiegó nulla del mondo, delle cose, della vita o della morte. Si limitó ad indicarle un oggetto sul suo comodino. C'era un'altra tazza, piena fino all'orlo, che lei afferró accennando un sorriso. E bevve, bevve avidamente mentre la sostanza le corrodeva gola, stomaco ed organi, liberandola da ogni peso. La stanza divenne gelida e lo scheletro inizió a tremare, facendo scricchiolare ogni osso del suo corpo in una tetra melodia. Rimaneva poco della donna, adesso. Era una carcassa avvolta in uno straccio, come forse lo era sempre stata. Qualcosa, simile ad una bestia scura e dal ringhio feroce, uscí dalle pareti per trascinarla via. Era una creatura dai gesti goffi, rozzi, che scivolava sulla sua stessa bava e sbatteva ripetutamente sui mobili. Poi tutto finí in un attimo, con grazia, quando lo scheletro pose un fiore appassito sul letto ed andó via, tra la pioggia, molto lontano. La radio in cucina, voce del mondo esterno, continuó a strillare la sua musica alla fine del notiziario. Cominciava un altro inverno.

sabato 2 giugno 2012

Anni Fa


Seduto nella quiete di una sera qualunque, guardo le stelle lontane e torno indietro ai ricordi di tanti anni fa. Sembra fosse ieri. Le prime birre e le feste in spiaggia, con la luna ad illuminare quei salti folli tra le onde. Poi, ognuno con il suo zainetto,  passeggiavamo sul lungomare in quelle mattine di settembre. Firme e disegni sui diari nuovi inauguravano l'anno scolastico, appena iniziato. I pomeriggi si facevano più freddi ed arrivavano i compiti a cambiare le nostre abitudini, anche se l'estate era difficile da dimenticare. Un panino con l'amico alla bottega vicino casa e poi un giro in motorino, senza meta e senza scopo. Liberi. Sigarette fumate di nascosto, scherzi e discorsi fino a far tardi per cena. La folla di ragazzi in centro e la pizza in comitiva del sabato sera.  C'era ogni volta qualcuno di cui eravamo innamorati, da sognare la notte ed inseguire di giorno. Avevamo sempre un professore che ci odiava o un'avventura ad aspettarci lí fuori, lontano dai banchi di scuola o dalle prediche dei genitori. Eravamo giovani con tutto il mondo da vivere, mille strade da percorrere, verso quel futuro perso alla fine di un labirinto, che non riuscivamo davvero a vedere. Mi chiedo spesso cosa ne sia stato di noi, adesso. Volenti o nolenti, abbiamo tutti seguito il corso delle cose, senza poterne sfuggire. Come i nostri padri, come i nostri nonni, come pesci piccoli spinti dalla corrente siamo andati avanti. Siamo qui come ogni persona di questa terra, di ogni tempo, speciale o ordinaria, e ce ne andremo  via allo stesso modo. Dopo aver amato, imparato,  creato, temuto, sperato, toccherà a qualcun altro far girare questa ruota che non si ferma mai, che non ci lascia il tempo di capire dove la stiamo spingendo. Guardo fuori da questa finestra lontana da tutti e penso quanto sarebbe bello, solo per una volta, domani svegliarmi con i compagni di classe che mi chiamano da fuori, pronti a gettarsi nella vita senza pensieri. A saltare di nuovo tra gli scogli di quel molo, zaini di scuola in spalla, con il sorriso ingenuo di chi pensa di avere il mondo in mano. Proprio come tanti anni fa.

giovedì 23 febbraio 2012

Un Nuovo Mondo



Nell'ultimo giorno del Grande Attacco, tra le macerie, un uomo ed una donna si trovarono vivi tra i morti. Avevano perso tutto. Si guardarono per la prima volta, ed in quel secondo capirono che non avevano mai avuto davvero niente. Insieme camminarono tra sentieri di cenere e tristi frammenti di passato. Per terra trovarono quello che restava del gioco di un bambino, poi stracci, cocci di ogni genere e carcasse di animali. Nei tubi dei respiratori, che gli avvolgevano il collo,  penetrava l'odore orribile di carne, plastica e gomma bruciate insieme. Neanche le sirene suonavano più, erano state anch'esse annullate da una potenza spaventosa, da quella furia inattesa e spietata che aveva colpito ogni cosa. I due cercarono di non piangere e proseguirono. Poi, luccicante sotto quel sole che diveniva sempre più scuro e malato,  la videro. Aveva la forma di una creatura marina, sembrava come una grande manta metallica. Uno degli Incursori giaceva senza vita all'interno di quella navetta, che non pareva danneggiata. L'uomo cercò subito di avvicinarvisi, ma la donna lo trattenne e gli parlò,  per la prima volta: "...Troppo dolore, troppi morti...stanne lontano!" Lui non si fermò e si fece strada tra la fessura d'entrata sotto un'ala del mezzo, era il suo istinto a dirgli che non vi era alcun pericolo. Con grande sforzo e repulsione spinse fuori la creatura squamosa, dal cui torace continuava a gocciolare un siero giallastro. Poi, fece un cenno alla sua compagna di fortuna. Adesso, come se non avessero altra alternativa,  quasi per nascondersi dall'orrore tutt'intorno, si trovavano insieme dentro la corazza lucida di un congegno alieno. Si sentirono subito male, la testa girava, le gambe si facevano deboli, il petto sembrava voler essere risucchiato dall'unico oggetto presente lì dentro. Era una grossa pietra di un colore vagamente simile al viola, ma molto più intenso, di una consistenza che oscillava continuamente dal liquido al solido. La pietra sembrava voler comunicare con l'essenza più intima del suo nuovo equipaggio, cercava di carpire informazioni all'interno di quelle anime martoriate dagli eventi. Poi la navetta iniziò a vibrare, prima impercettibilmente, in seguito con una potenza inaudita. L'uomo e la donna non compresero, si strinsero, temettero e forse sperarono che tutto stesse per finire. Non si stavano muovendo, o almeno così pareva. Dopo qualche secondo, ebbero la sensazione di sgusciare sotto un velo leggermente elettrico, avvertirono un sibilo curioso e poi più nulla. La donna finalmente pianse, e quando guardò fuori  si rese conto di trovarsi in un luogo completamente diverso. Sporse la testa all'esterno della navetta e sentì, attraverso quella maschera che le opprimeva il viso, un odore fortissimo. Proveniva da milioni di ciuffi verdi che spuntavano dal terreno, dappertutto. Poi scorse il grosso tronco di quello che sembrava un albero, non lontano da loro, dalla forma molto regolare e di un insolito colore marrone.  Esseri volanti e con solo un becco planavano leggeri su una distesa d'acqua trasparentissima, che non pareva emanare alcun vapore tossico. L'aria era fresca, pungente, apriva i polmoni. Non vi era traccia di nebbia, gas o fumi di alcun genere. Il sole era di un giallo inimmaginabile. Gettarono su quel suolo soffice le loro maschere filtranti e respirarono da soli, per la prima volta. E, come non accadeva da moltissimo tempo, sorrisero. Erano in un luogo lontano, in un mondo sconosciuto, ma dove?  Tutto era vagamente simile al loro pianeta, ma allo stesso tempo incredibilmente differente, meravigliosamente più complesso, armonioso. "E se gli Anziani avessero sempre avuto ragione? - formulò l' uomo con voce tremula- ... E se questi degli Incursori - proseguì - non fossero dei vascelli spaziali...ma veicoli interdimensionali?" La donna si mise le mani al volto, pensierosamente: " Potremmo non aver mai lasciato casa...forse siamo sempre qui, sulla Terra, ma in una dimensione diversa! " concluse. Poi una lunga pausa di silenzio, rotta dal cinguettare allegro dei volatili lassù. Forse i due erano davvero  arrivati lì per un motivo preciso. Era una sensazione strana, scomoda. Per un nuovo inizio, bisognava passare attraverso la fine. Ma quel mondo sembrava non sposarsi bene con ansie e preoccupazioni, così la donna si tolse di dosso la tuta di contenimento, annerita dai detriti, e si tuffò tra le acque con una leggerezza dimenticata. "Mi chiamo Eva...e il tuo nome qual é?"
" Il mio nome é Adamo! " rispose l'uomo denudandosi, e con un balzo la raggiunse in quello specchio azzurro di paradiso.

lunedì 9 gennaio 2012

Lo Scrigno


Ho uno scrigno, nel petto. Come una salvezza. Quando non c'é piú piú luce attorno lo apro e vedo me, da bambino, che con mio fratello guardo i cartoni animati giapponesi. Ci trovo dentro le recite buffe alla scuola elementare, i lavoretti fatti per la festa della mamma, la mia maestra e tutti i compagni di scuola. Sono un bimbetto con gli occhiali ed i capelli con la riga, come papá. Poi un ragazzino che legge i suoi fumetti mentre tutti dormono, perso tra le meraviglie di mondi irreali. Tra quei tesori scorgo le corse in motorino con l' amico di turno, i primi appuntamenti con le ragazze, i volti e le emozioni di ogni mio amore passato, i lunghi viaggi su di un treno sudicio, dal quale mi sporgo e trovo fuori il mare della mia terra. Gli arrivi a tutte le stazioni o gli aeroporti, dove una madre e un padre amorevoli mi hanno sempre aspettato. E poi mi aggrappo a quella giovinezza che non é voluta mai andar via, ai sogni che col tempo sono sempre gli stessi, alla semplicitá e all'innocenza delle cose piú belle.
Apro lo scrigno e mi fermo ad ammirare quello splendore, a sorridere, a piangere, a sorprendermi di quante cose cambino durante una sola vita. Poi lo richiudo con gentilezza, caramente, con attenzione, mentre il sole ritorna nella stanza. E questo circo imperfetto, questo battello esile in un mare di misteri, continua la sua strada verso chissá dove.

sabato 24 dicembre 2011

Buone Feste dal Mio Ometto che Cresce

    ( Clicca sulle foto per ingrandire )                                                 
                                                                                                    

martedì 15 novembre 2011

Acqua, Terra, Braccia, Gambe e Ruote : "Leonardo Triathlon Milazzo"


Acqua, terra, braccia, gambe e ruote.
Dal molo, dalla spiaggia, dagli scogli saltano in quel mare dove tonni e pescispada nuotano da sempre, dove riecheggia ancora l'audacia dei romani sui cartaginesi.  Scivolano leggeri nelle acque tra Ponente e Levante, in quello specchio cristallino che li inebria. E' un mondo azzurro fatto di pace e armonia.

Acqua, terra, braccia, gambe e ruote.
Spingono sui pedali di quei destrieri d'acciaio, tagliando l'aria mentre la gente si sporge da marciapiedi e balconi . La folla  grida il suo entusiasmo e sembra , per un istante, che Via Umberto I rimanga sospesa in quell'attimo di ardore. Lo sport risveglia i cuori e le anime che dormono, li scuote dal torpore. Le ruote scorrono per strada veloci, ritmiche, frenetiche, accendono gli sguardi che incontrano ad uno ad uno. Un ragazzino osserva le bici in curva, che sembrano volare, e sogna che un giorno il campione sarà lui.

Acqua, terra, braccia, gambe e ruote.
Corrono per  quelle strade percorse da Garibaldi,  sfiorando le barche dei pescatori di Vaccarella, tra vie, chiese e palazzi che il tempo non ha mai cambiato. Poi un corridore  alza lo sguardo ed incontra il castello. E corpo, mente e cuore si riallineano, si purificano in quel momento eterno che dà forza alle sue gambe.
Cullati dalle onde, dall'erba, dalla terra generosa di Milazzo, abbracciati dalla storia, gli atleti sanno di aver già vinto la loro sfida.

Acqua, terra, braccia, gambe e ruote.
Gloria di uomini d'altre epoche in un'isola antica e fiera. Prodigiosi talenti che si esprimono. Dal nome di un bimbo felice, il gruppo "Leonardo Triathlon" nuota,  pedala,  corre  ogni volta verso la libertà, la speranza. Un sogno nobile , divenuto reale.

Acqua, terra, braccia, gambe e ruote. E uomini, donne,  ragazzi e ragazze si incontrano di nuovo lontani da scuse, lamenti, tristezza o apatia. Loro si spingono verso il futuro tra impegno, fatica, sudore e gloria. Per sentirsi immortali ancora per un altro giorno. 



mercoledì 21 settembre 2011

Recensione di Super 8 (Versione Integrale), Pubblicata sul Numero di Settembre del Magazine "XTimes"



1979. Una notte qualunque a Lillian, piccola cittadina nell'Ohio. 5 ragazzini stanno girando un film di zombie amatoriale, in formato super 8 (da qui il titolo del film), sfruttando il suggestivo scenario di una stazione ferroviaria in disuso. Quello che Joe, Charles, Cary, Martin, Preston e Alice non sanno ancora  è che qualcosa, qualcosa di eccezionalmente  fuori dall'ordinario sta per stravolgere le loro vite per sempre. Nella frazione di pochi secondi, qualcuno guiderà un fuoristrada in direzione del treno in corsa che si avvicina all'orizzonte, il quale deraglierà disastrosamente a pochi metri da quel set improvvisato. Da uno dei tanti vagoni semidistrutti verrà fuori una misteriosa creatura dalle dimensioni imponenti, che si allontanerà istintivamente dalla zona del disastro. Tra le macerie, gli atterriti teenagers troveranno una quantità impressionante di strani cubi di colore bianco e, come se lo shock accumulato da un evento così drammatico non bastasse, i 5 si ritroveranno faccia a faccia con il conducente dell'auto che aveva scatenato il disastro. Ancora imprigionato tra le lamiere della vettura, ferito gravemente, l'uomo non è altro che il professore di biologia della loro scuola che, pistola alla mano,  intimerà loro di andar via subito e di non parlare a nessuno dell'accaduto. Qualche secondo dopo, quando i ragazzini sono già in una folle fuga verso le rispettive case, i militari dell'Air Force raggiungono il luogo dell'incidente ed iniziano a circoscrivere la zona. Niente sarà più lo stesso.
Scritto e diretto da J.J. Abrams  (Lost, Cloverfield, Star Trek) e prodotto da Spielberg (avete davvero bisogno che ve lo presenti?), il film è uscito negli Stati Uniti il 10 Giugno 2011, ma verrà distribuito nelle sale italiane solamente il 9 Settembre. Facendo parte di quel pubblico americano che lo ha visto nella sua release date originale, vi anticipo subito che Super 8 non offre niente di nuovo o rivoluzionario, ma che  il suo valore sta proprio in quella sua nostalgia per le pellicole a cavallo fra gli anni '70 ed '80, di quando tutto era più leggero e spensierato, di quando si era giovani e si correva liberi e senza stancarsi mai. Con un gruppetto di ragazzini come protagonisti dell'avventura, così magnificamente caratterizzato, non pochi spettatori sorrideranno nel ritrovarsi indietro nel tempo, inaspettatamente, ammaliati da quell'atmosfera tipica di film quali E.T., Stand By Me, Piramide di Paura, Explorers e, naturalmente, I Goonies.
Già nella primissima scena, che ci informa della morte della madre di Joe in un incidente sul lavoro, con conseguente funerale, traspare tutta l'abilità narrativa di Abrams, che descrive l'accaduto solamente mediante l'uso di immagini, con un'efficacia immensamente superiore a qualsiasi parola o dialogo descrittivo. Davvero brillante, se volete il mio parere.
Il film continua poi la sua corsa con un ritmo molto emozionante ed intenso, che coinvolge lo spettatore anche grazie alle straordinarie interpretazioni dei suoi giovani attori (guardate, per esempio, la scena in cui Alice piange sul set del loro cortometraggio amatoriale, o provate a non affezionarvi e sentire un po' di compassione per il povero Joe Lamb).
La parte iniziale del film, con i cani della cittadina che scappano via chissà dove, oggetti metallici che spariscono, due genitori rivali che non riescono a riappacificarsi, la storia d'amore che sembra dover sbocciare tra Joe ed Alice, contribuisce mirabilmente a creare una grande anticipazione nello spettatore. Sono presenti anche momenti di comicità, di allegria giovanile strappata a quegli eventi così traumatici per la cittadina di Lillian. Io ricordo divertito, per citarne solo uno, quando i protagonisti consumano un pasto in un diner e Cary si lamenta con l'amico Charles, 13enne sovrappeso, che sta ingurgitando tutte le patatine presenti sul tavolo. Cary chiamerà  la cameriera e le chiederà, con fare serio:" Could we get another order of fries? Because my friend here is fat!" ("Puoi portarci ancora patatine? Perchè il mio amico, qui, è grasso!").
Nonostante abbia apprezzato Super 8, ammetto di aver trovato la sua debolezza nella parte finale. Ho come l'impressione che J.J. Abrams , come del resto nella serie di Lost, sia stato capace di creare una grandissima tensione ed attesa, ma che non sia riuscito pienamente a fornire una conclusione solida e degna di un'intelaiatura così sapientemente costruita. Ad esser sincero, non nascondo di esser rimasto deluso anche dall'essere alieno nel film. Quando Abrams immagina una creatura (vedi anche Cloverfield) è sempre gigantesca e la si può intravedere, parzialmente, solo in qualche frame. Dai primissimi trailers e pubblicità che circolavano mesi fa, per il tipo di storia che s'intuiva da quei pochi flash, mi sarei aspettato sinceramente un alieno di tipo umanoide ma, alla fine,  credo che questa sia una questione di gusti. Poi, fatico ad accettare l'altro  stereotipo secondo il quale un essere, venuto da chissà quale galassia, debba cibarsi necessariamente di carne umana. Volendo inoltre commentare una delle tante reminiscenze-omaggio a Spielberg, presenti in tutto il film, devo osservare che il protagonista di Super 8 non raggiunge mai quel profondo contatto emotivo con la creatura, che il grande Steven era riuscito a tratteggiare magicamente in E.T.  Succede in una maniera quasi sbrigativa, solo nel finale e senza lasciare davvero il segno. Poi quel povero essere alieno, tenuto come prigioniero da noi umani e non aiutato, riesce finalmente ad ultimare la sua astronave, unendo i milioni di cubi con parti metalliche,  e vola via lontanissimo, mentre le macerie cadono sui militari in puro stile  (ancora) spielberghiano. Un film da vedere sicuramente, senza farsi montare troppo dall'hype mediatico che lo circonda. Guardatelo, insomma, con gli occhi di un ragazzino.

Consiglio finale: non alzatevi troppo presto dalle vostre sedie e godetevi l'adorabile  filmino di zombie durante i crediti finali, frutto della fatica di 5 filmakers in erba molto speciali..

giovedì 8 settembre 2011

"Milazzo". Testo: Marco Talotta - Foto: Giuseppe La Spada (http://www.flickr.com/photos/gls_italy/ )



Amore d'infanzia che fa le guance rosse, di quando da bambino saltavo sul muretto di fronte scuola, cartella in spalla. Nessuno sa davvero che ci sei, Milazzo. Unita al mondo da un soffio di terra, il resto è rapito dal mare.

Amore di giovinezza mai dimenticato. Gli scogli che odoravano di sale, in quei pomeriggi senza voglia di studiare. E mille meraviglie scoperte da ragazzi, tra il centro, le salite e le stradine.

Amore tradito e abbandonato, dei miei anni lontani da te. Ricordo quel mercoledì d'inverno di tanti anni fa, quando misi l'anima nella valigia e, da lì, lei non volle mai uscire. Ad una ad una vedo le facce di tutti i tuoi figli che sono dovuti andar via, e ancora piangono guardandosi indietro.
Sei tu la casa che mi aspetta, Milazzo. Sei una musica lontana e sublime, che sento ancora da oltre l'oceano.
 E scorgo i colombi del palazzo del Comune, mentre si alzano in volo. Sono un ventaglio bianco e grigio che avvolge la strada per un attimo.
E le barche dei pescatori riposano sulla spiaggia, dopo una giornata a cavallo del blu.
Sul lungomare le famiglie, i ragazzi, i vecchi e tutti passeggiano, giocano, scherzano, discutono. Qualcuno, alzando gli occhi, troverà il salto dei delfini all'orizzonte e non lo scorderà mai.
Al porto, lì vicino, le navi non hanno mai smesso di attraccare e di ripartire. Passa la processione, di fronte in strada, e sul fragore della banda mi risveglio da questo sogno fatto troppe volte.

In questi miei anni lontano, da te e da tutti, ho trovato una consolazione, come una carezza su di un cuore stanco che non sa più davvero gioire.
Non importa cosa succederà e dove mi porterà questo mio vagare, Milazzo. Un giorno sarò una delle tante pietre nel tuo cimitero. E riposerò, sereno, cullandomi in un amore perduto e per sempre ritrovato.